AA.VV.
Il colpo di coda
Amelia Rosselli e la poetica del lutto
a cura di Enzo Campi
contributi critici
Daniele Barbieri, Francesco Carbognin, Biagio Cepollaro
Antonella Pierangeli, Salvatore Ritrovato
Marco Adorno Rossi, Enzo Campi
contributi creativi
Antonio Loreto, Silvia Molesini, Renata Morresi
Marina Pizzi, Maria Pia Quintavalla, Maria Luisa Vezzali
con due lettere di
Tiziana Cera Rosco, Plinio Perilli
Il volume contiene inoltre i testi dei vincitori e dei finalisti
dei Concorsi Letterari banditi dal Festival Bologna in Lettere
in occasione della
IV Edizione dedicata ad Amelia Rosselli
Anna Bertini, Roberta Caiffa, Rodolfo Cernilogar
Lella De Marchi, Fernando Della Posta, Alessandro Silva
Giulietta Vincitorio, Valerio Scrima, Carlo Maria Genovese
[…] per te ho messo pantaloni, senza indumenti sotto e una maglia insostenibile per le ossa così fragili come sono, tanto grondava di quella solitudine che vortica nelle scale dietro la porta di casa e che non bisogna mai indossare, mai. ma l’ho fatto come per “estinguere tutte le rime in e”. e sono andata da tutti gli uomini che hai amato e che con quello sguardo da posteri che avevano, con quello sguardo da lettori non hanno mai sbiancato un letto reso nero dalle nostre stesse schiene che spurgano ettolitri di inchiostro e che nella notte come ora, rischia di entrarci dal naso, forare la guancia fino alla bocca, inondare quell’unico polmone sottovuoto che la passione non smette di tormentare col suo enorme poco […] (Tiziana Cera Rosco)
[…] È affascinante osservare che l’alternativa scelta da Rosselli è sin dall’inizio assai più radicale di quella di tutti gli autori a lei contemporanei, almeno per quanto riguarda il problema di Giuliani: la “riduzione dell’io”. Riduzione, si badi, non vuol dire cancellazione, scomparsa: cancellare l’io, o la grammatica, vuol dire rendere impossibile la comunicazione. L’io deve ridursi, eventualmente sospendersi, non scomparire; ed è attraverso questa riduzione che se ne può suggerire il superamento, mettendone in luce i limiti, magari proprio attraversando aree dove può essere momentaneamente sospeso – giusto per provare, almeno per un attimo, l’ebbrezza del non-essere, o meglio del divenire-con, la consapevolezza della non-consapevolezza. […] (Daniele Barbieri)
Sevizia di abaco qui contare
La sparizione del futuro
La vita almeno era di eclisse
Egemone la luna di dormire
Per sospettare sì finalmente fine.
In testa un rammendo che mi perseguita
Tanto banale oasi di vento
Assassino di nidi in fine senso.
Acrobata tardivo il patriota
Che bara per sopravvivere
Vive carogne di orologio le lancette.
Ceduo il sorriso e la sorte alunna
Senza imparare rari i gerundi.
In guerra con dio mi arresi
Sorda la morte colma elemosina.
In veste di cianuro sono artigiana
Di una mansarda nuda d’impiccati.
(Marina Pizzi)
Il soggetto lirico di Variazioni Belliche oppone una significativa resistenza al tentativo di tradurne la molteplicità dei tratti morfologici in un disegno unitario e coerente. Espressione di un’indomita insofferenza alle coazioni grammaticali di una sola lingua, così come agli schemi codificati dell’espansione emotiva e dell’allocuzione lirica, il soggetto poetico di Amelia Rosselli tende frequentemente a manifestarsi in atteggiamenti provocatoriamente contraddittori, non pacificamente rubricabili nella categoria di un genere sessuale definito. Illustrarne le modalità della manifestazione, in un ambiente semiotico vistosamente emancipato da immediate preoccupazioni referenziali (di frequente compromesse, nelle Belliche, dall’utilizzo centrifugo e confusivo delle voci pronominali), implica la necessità di prestare all’«automa» lirico rosselliano un’attenzione critica proporzionata alle peculiarità di fenomeno refrattario alla mera interpretazione tematica, inaccessibile a un’analisi circoscritta alla rete dei riferimenti interni stabiliti dai deittici e alle «borchie» strutturali del dispositivo linguistico […] (Francesco Carbognin)
Certi attacchi della forma
a volte non solo come nesso
un mezzo mai scisso il male
ortografico ma anche inesatto
nelle classificazioni delle corde
vocali e delle cavità orali di
poca roba suoni o anche colori
e si vede che le cose vanno un
poco diversamente chiacchierare
o esplodere soltanto come idea
nella mente benché iscritta men
talmente con l’aiuto di una
sottile sensibilità grafica e
spaziale la nostra amicizia
in certi punti referenziali
io non partecipavo a mani
festazioni violente senza
dirmi cosa sia una bastonatura
in un vagone di volta in volta
molto impressionata logica
e associativa intanto i telefoni
in tutte le lingue si udivano
addirittura egualmente rumore
divertimento o minaccia nel
sottofondo senza brusio di
nodi fonetici nei miei cibi
non necessariamente sillabici
[…]
(Antonio Loreto)
Il rilevamento del significato del testo, momento sintetico e conclusivo, non ne esaurisce il senso. Non solo perché il senso si costituisce di volta in volta in relazione alla latenza del lettore (mentre in qualche modo il significato resta più accosto al testo), ma perché il potere proprio di questa poesia si manifesta dopo, per così dire, averne compreso il significato. E dopo tale comprensione ciò che resta può anche profilarsi come un falso movimento all’esterno: la poesia non ci parla di una diagnosi dell’altrui difficoltà ad uscir fuori dalla propria prigione ma della propria difficoltà. Di conseguenza la mancanza di direzione netta e precisa (della comunicazione, del sentire, dell’esserci, significato generale di entrambe i testi) riguarda il chi dice. (Biagio Cepollaro)
Certamente da giovane, libera
ma mai qui, adesso, che impaurita
sa cosa gronda per traverso l’isola
innaturata. Ti avrebbe chiesto
dove sistemare una lampada rancia
acquistata per sbaglio nella bottega scura
di un posto pensato lontano, nato da
poco impotente (purissimo) e incapace di perdersi.
(Silvia Molesini)
La vicenda poetica di Amelia Rosselli ha per me sempre avuto il fascino di un enigma incastonato nella storia del Novecento, e la sua opera, nel suo peculiare svolgimento, nel dipanarsi sul crinale franoso di improvvise fratture linguistiche (a cominciare dai Primi scritti), si colloca in una situazione affatto nuova rispetto alla via maestra del Novecento, tanto lontana dai percorsi delle diverse tradizioni nazionali, quanto originale nel tentativo di aprire un varco personale nel cuore stesso della poesia europea. Credo di poter dire che l’approdo alla poesia, per Amelia Rosselli, parte da un dato biograficamente incontestabile, che merita forse un supplemento di riflessione, che proverò in breve a fare, circumnavigando i suoi primi esperimenti, fra Primi scritti (1953-1962) e Diario ottuso (1954-1968), in quel torno d’anni in cui, da una parte, si accelera il tramonto del Neorealismo, come esperienza terminale di una storia che è possibile modificare e migliorare, cui l’autore, pensa, in uno slancio di fiducia e speranza, di appartenere, e dall’altra si avverte l’urgenza di un ripensamento dello statuto intellettuale dell’autore […] (Salvatore Ritrovato)
per uscire da tutte le cattive abitudini ricominciamo
dal volo inconciliabile della mente che non condona
per ricominciare questa storia interrotta satura con
ruvida sabbia severa tra i denti che rimasticano alla
costa sabbiosa delle nostre pagine per uscire da tuo
improvvisato finale ricominciamo dall’alfabeto-ossa
che lasciasti senza chiave nella piazza delle private
madri rivestite dai tuoi indestinati giochi intinti i
nostri fiati di farneticante amore e se sogniamo con
quello immaginante banchetto di aria è con le mani
troppo aperte alla dispietata lima dell’altro se ora
sogniamo unite al radar delle nostre agili destrezze
[…]
(Maria Luisa Vezzali)
[…] Nel suo germinante universo, la disperazione è impugnata saldamente come fanno i vecchi con il cucchiaio, nel tentativo di tenere a bada il tremore, di fuggire la facile compassione. È la parola invece che rimanendo in superficie, strozzata come un grido muto, ha in sorte di rimanere non-toccata, asciutta, chirurgica. La parola infatti non è soltanto suono ma si scorpora in frammenti visibili di ciò che, nella poesia, si deve vedere e, soprattutto, non vedere. Frammenti albeggianti di tenebra raccolti e condensati dall’esistenza, poi disfatti in una babele lessicale cosmopolita tenacemente innovativa, mai chiusi nel bozzolo scabro della tensione oracolare. […] (Antonella Pierangeli)
dario ha lasciato un messaggio per te
ciao
io sono dario
è e
ho visto il tuo profilo
così tanti vogliono e io ho voluto
te mi dice il suo messaggio
te mi dice
non hai mai scritto a dario?
dà il consenso, clicca che
dario è
che il pensiero di dario
è grande
un messaggio, una notizia
semplice
semplice mi perdo nel
detto da dario detto dal mondo
a me detta te
nera
mente
detta con ma
ni che non vedono
che portano l’elettrico
siero di dario
a te a chi ha scelto
a chi ha scritto per te
il tuo messaggio
al mondo
ampio
web
(Renata Morresi)
[…] Qui si tratta di ribadire l’assoluta centralità della volontà poetica di determinare e costruire una lingua che scaturisce da un arrovellamento costante intellettuale e razionalmente determinato e non da un collasso improvviso causato dal cedimento delle difese psicologiche del soggetto. Qui vogliamo sostenere questa tesi che, ripetiamo, non è nuova; ma si tratta di irrobustire il filone di indagine conoscitiva, per usare una terminologia giudiziaria che vuole indagare sulla creazione del profluvio linguistico dell’autrice. […] (Marco Adorno Rossi)
[…] Tu fraterna non dissuasa, disavvezza ai colori, ancora e semplice abitavi: quel volo improvviso, mai aperto al cadere. Che tu emanavi musica, è stata la prima immagine di te avuta.
Di questa musica avremmo spostato insieme le altezze la durata, la curva della musica, forse anche un canto era possibile.
Certa sabbia negli occhi, solida stanchezza a cerchi ci avvisava che per altro poco, o per molto – del tempo – avremmo dovuto farne a meno, e lì sostare.
(Maria Pia Quintavalla)
[…] Quelle del respiro e della caduta non sono figure. Sono de-figurazioni rivolte verso quella che, parafrasando Deleuze, potremmo definire «intensità». In tal senso la scrittura di respiri e cadute, che la Rosselli sottopone all’implacabilità di sistemi e registri luttuosi, rappresenterebbe il «movimento dell’intensità». Intensità non è necessariamente sinonimo di ritmo, ma la sua declinazione non può non tenerne conto. E, in effetti, in questo teatro guerrafondaio, tutto verte sul (sos)tenere e sul portare, sulle linee simultanee dell’intensione e dell’estensione, del risuonarsi e del risuonare, della propagazione e del rientro […] (Enzo Campi)
[…] Ed è proprio questa Libertà in Atto che sempre ritrovo – e credo anche tutti questi giovani ravvedono – nella tua poesia. Che è – fu – inferno della Storia e Paradiso in terra d’ogni anima fiera e umiliata, in bilico tra luce e ombra. Ombra maestosa…
vedo un futuro, è fatto di questa
gente che proprio non ne sa niente.
Fu questa la tua gnosi e il tuo stigma.
“Cambiare la prosa del mondo, / il suo orologio intatto, / quel nostro incorniciare le giostre / faticose dei baci.”
Cambiare la poesia più intima, creaturale, per cambiare quella dissennata prosa pubblica, quest’eterna ignominia burocratica di sangue e potere.
Ma mi piace immensamente questo tuo verso in cui anche i baci sono faticosi, erano anzi ancora più belli perché faticosi – erano anch’essi, forse, Variazioni belliche, mia carissima Amelia, di una eroica e fragile, pacifista Soldatessa della Realtà.
E tutta la tua (sua) Opera, un credo, un Documento inesausto di libertà e giovinezza – una Libellula che è anzi panegirico dell’Amore come Libertà. […] (Plinio Perilli)
[…] Giorni grevi e asciutti, come fianchi di selce, mancano pochi scatti, pochi forse venti, e verranno undici. Venite pure a prendermi, non servirà la falce, venite in corteo, senza aspergere, né celebrare. Io il cerimoniere – colui che capovolge – forma e riforma il tempo, col cero acceso legge; poi brucia le carte. Smettete, di parlare così forte, uscite dalla fossa in silenzio, io non vi sento, non più vi sento. Non più io a dolermi, non più voi a mancarmi, non il mondo a celebrare, celebrare per me, io il cerimoniere […] (Anna Bertini)
[…] ella aspira dunque a conferire all’organizzazione metrica quello statuto di oggettività che nasce dall’esigenza di svincolarsi dal limite soggettivo del verso libero. Il principio di razionalità ordinatrice che regola l’azione dell’io sulla materia artistica, esprimendo l’esigenza di controllo e rigore che la poetessa impone al suo fare artistico, risale alla volontà di arginare il ‘caos’ di un approssimato tecnicismo, sintomo di un disordine interiore scaturito dal disagio reale, percorso da quotidiane ossessioni, che la poesia tenta di esorcizzare attraverso la strutturazione della pagina, contenimento al fluire straripante delle parole. Infatti, “il tentativo della Rosselli è quello della compressione del vissuto all’interno dello spazio di scrittura e della trasfigurazione di esso in unità ritmiche, associazioni sonore, visive e semantiche, per fare del blocco stesso un ‘pozzo di comunicazione’. […] (Roberta Caiffa)
[…] Distesa nella
roulotte la sua pelle vive d’insonnia si tatua come una rosa
di macchie violacee, non imposte non provocate non
derivate, indifferente è l’origine non è provenienza la
libertà, è bella di una bellezza che viene da prima di
sé, prima di sé dipende dipende soltanto da sé. Amelia ti
esce dagli occhi e dal cuore senza saperti guardare ti guarda e
forse ti parla ti chiede di non fare rumore di non ascoltare il
rumore. Amelia nuda e distesa nella roulotte è un immenso
paesaggio con ossa, vita che vive senza ornamenti di necessari
ornamenti, di necessari ornamenti di variazioni a catena si
nutre l’appartenenza, è paura che fuga la commozione, un
pianto ancestrale diviso in quadrati mattoni prima di
darsi alle fiamme, prima di darsi alla luce, prima di farsi
feroce ammissione di colpa e di identità […] (Lella De Marchi)
*
Indice
5 Tiziana Cera Rosco, Lettera ad Amelia Rosselli
7 Daniele Barbieri, L’improvviso di Amelia Rosselli
20 Marina Pizzi, Per sospettare sì finalmente fine
24 Francesco Carbognin, L’«automa» di Variazioni Belliche
38 Antonio Loreto, CONTENERE
41 Biagio Cepollaro, Due poesie di Amelia Rosselli secondo i criteri della poesia integrata
49 Silvia Molesini, A melia (“potessi avere la leggerezza della prosa”)
52 Salvatore Ritrovato, Una vena lirica nella Cantilena di Amelia Rosselli
58 Maria Luisa Vezzali, 11/02/2016
59 Antonella Pierangeli, Amelia Rosselli, partitura per voce sola e livide disillusioni
66 Renata Morresi, Terzo Paesaggio
72 Marco Adorno Rossi, Amelia Rosselli. La costruzione della poetica dell’impoeticità
80 Maria Pia Quintavalla, Visitazione (variazioni sul ritorno di Amelia Rosselli)
82 Enzo Campi, Epico, sapido, quasi sadico: per un (auto)ritratto di Amelia Rosselli
102 Plinio Perilli, Lettera ad Amelia Rosselli
110 Concorsi Sezione A
111 Anna Bertini, Uscite dalla fossa – un incubo di Amelia Rosselli
115 Roberta Caiffa, Poesia “elevata al cubo”
119 Lella De Marchi, A-polide A-melia
121 Concorsi Sezione B
122 Fernando Della Posta, Ritorno
124 Alessandro Silva, L’adatto vocabolario d’ogni specie
127 Rodolfo Cernilogar, Anche se portano doni
130 Concorsi Sezione Scuole
131 Giulietta Vincitorio, Parentesi
132 Valerio Scrima, The end
133 Carlo Maria Genovese, Cruelle vérité
135 Amelia Rosselli, Bibliografia essenziale
137 Note bio-bibliografiche degli autori
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