L’irragionevole prova del nove

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Parlare dell’Irragionevole prova del nove non è facile e immediato, perché il libro, fortemente asimmetrico e contrastivo, obbliga il lettore (tutt’altro che implicito e a proprio agio) ad assumere una prospettiva obliqua. Da un lato lo si potrebbe definire in maniera semplice a partire dalla forma esteriore di questo contrasto: quella del dialogo; dall’altro però questa definizione sarebbe insufficiente a esaurirne il significato, dato che la dinamica attuata dalla contrastività e la molteplicità dei livelli attraverso cui si dipana il dialogo sono qualcosa di molto complicato. E queste, in primissima battuta, sono appunto le due più evidenti polarità di questa asimmetria, a partire non a caso dallo stesso nome dei due dialoganti, Simpliciter e Complicatibus: la messa in scena dei loro scambi, sempre fuori equilibrio, è ciò che anima e determina il procedere del discorso e la dinamica stessa del libro. Quali termini di paragone si possono allora prendere per rendere chiara questa particolare dinamica? Il primo certamente sta nella cultura barocca, al centro della quale si trovano appunto tratti quali l’asimmetria e la teatralità. Soprattutto barocco è il ricorso al dialogo: sia per la forma del trattato scientifico (il caso galileiano, ma non solo), a cui l’Irragionevole prova del nove pare richiamarsi in superficie con la sua allusività matematico-geometrica, sia per il versante appunto teatrale, richiamato fin dall’immagina di copertina, che dello spettacolo secentesco condivide la passione per i fuochi d’artificio dell’invenzione linguistica, per la vertiginosità argomentativa, per il gioco di parole, fino all’improvviso – spesso sconfinante nel nonsense – della commedia dell’arte (della quale condivide anche il gusto per la maschera e il travestimento, evidente tanto nei personaggi-ruolo quanto nello stesso ruolo dell’autore). E parlando di nonsense, ma restando al teatro, come non evocarne allora i maestri moderni, ossia i dadaisti, ma anche lo stesso teatro futurista (ricordando che le espressioni del movimento italiano furono poi in effetti quelli che diedero il via e suggestionarono tutta l’avanguardia europea): un teatro in cui la parola diventa magia metamorfica, innesca trasformazioni continue. Questo lascito sarà poi ripreso e sviluppato, in una generazione successiva, da colui che forse è il punto di riferimento principale per questi giochi teatrali di derive semantiche: Samuel Beckett, con il suo teatro dell’assurdo, al quale però affiancherei anche i più vicini Manganelli e Wilcock. La situazione dell’Irragionevole prova del nove è certo beckettiana, con il suo dialogare ostinato e fitto fra le due maschere, che continuamente giocano con i propri rispettivi ruoli e sembrano voler far trapelare un volto, anch’esso però connotato dai tratti e dai tic della stereotipia; maschere quindi che non si contentano mai di essere semplicemente tali, che non sono mai quiete. E, come in Beckett e negli altri sopra nominati, ad alimentare tale inquietudine è soprattutto l’ironia, che innesca continue flessioni del linguaggio, lo accende di quelle rifrazioni interne che determinano poi la dinamica dell’asimmetria. È infatti proprio lo scambio fra i dialoganti a non essere mai simmetrico, a non limitarsi allo schema «affermazione (domanda)-risposta», in cui il secondo termine adempie in maniera consequenziale alle premesse del primo: ogni battuta piega il discorso (proprio alla maniera della piega barocca descritta da Deleuze), ne torce la tessitura ad ogni passaggio di voce, con continui slittamenti del piano, derive e traslazioni «un passo più in là», senza che i due personaggi riescano a definire, ad afferrare la questione… soprattutto perché non c’è un questo afferrabile e definibile. O, meglio: il questo è piuttosto la parola stessa, il suo difficile farsi dialogo, la fatica fàtica del darsi del linguaggio e la sua eversiva sfuggevolezza. Nel suo procedere fino al proprio esito, quindi, il dialogo bizzoso, bizzarro e imbizzarrito svela quanto in tutti i nostri scambi quotidiani, per quanto essi ci possano parere ragionevoli e fondati, i conti in realtà non tornano mai: e alla fine quello che resta è il sorriso bieco dell’ostinata, disperata (ma ostinata!) follia del nostro voler fare i conti delle cose con le parole, la bellezza un po’ triste ma inesausta del nostro tentativo sempre fallimentare di usarle per misurare il mondo (Vincenzo Bagnoli)

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Testi Giovanni Campi,
Voce Nevio Gambula,
Animazioni Orsola Puecher

Simpliciter & Complicatibus from ,\’ on Vimeo.

L’irragionevole prova del nove è stato presentato, nel corso del I° Step di Aspettando Bologna in Lettere, Campi Magnetici, Venerdì 14 Novembre al Teatro del Navile, Bologna

CM

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